TENTATIVO DI USCITA N° 3 – Supermarket e tessuto spazio-temporale

Nastri bianchi e rossi portano fino all’ingresso della struttura, andamento cadenzato, da marcia funebre, della gente davanti e dietro me, distanziamento obbligatorio. L’edificio, a me sconosciuto, dopo la curva ad angolo retto mi si para davanti: grigio, triste, solo un’insegna gialla con scritta blu a dare un tocco di vivacità a questo Alcatraz in tono minore.

“TIGROS” leggo.

A destra e sinistra le guardie controllano il flusso fino alle porte di vetro, spalancate su un atrio male illuminato e confuso. Qualcuno prova ad uscire fuori dai cordoni ma viene subito pestato a sangue e portato via.

“Devo passare il controllo…devo farlo…” penso, ma la tensione mi mangia vivo.

Alto 1.68, calvo, pettorina gialla, mascherina d’attacco, nella mano impugna con forza ‘l’arma’. Si dicono tante cose su di lui, molte sono leggende. Altre terribilmente reali. Lo chiamano l’oracolo’. Fermo nel suo ghigno che ipotizzo crudele visto che ha su una mascherina, è giudice e carnefice, il boia del tempio della tigre.

Lo immagino mentre avvicina ‘l’arma’ alla mia tempia, uno, due…aspetta ancora un attimo…tre, quattro…

“Bip!”

Ed eccomi, circondato, il ghigno malefico ed invisibile dell’uomo che si fa ancora più crudele, ‘ne ho beccato un altro’ pensa, mentre agenti mi circondano, sirene lampeggiano rosso sangue, “A TERRA! A TERRA!” mi urlano, il panico attorno mentre tutti si accalcano tra di loro ma distanziandosi ancora di più, da me. Vengo buttato a terra, bloccato, arrestato. Finirò in una stanza buia e puzzolente negli scantinati.

“Tutto ok, vai” mi dice l’oracolo, mentre riemergo dai miei pensieri.

Non ho la febbre.

Solo un metro dopo, vengo costretto ad usare due buste di plastica sulle mani. No, non guanti di plastica, sapete, quelli con almeno la parvenza di forma di una mano umana no, proprio due buste anche se comicamente ci hanno disegnato sopra delle mani. Che divertente. Altri due metri e sono dentro. L’interno è allestito come un rifugio post-atomico con pile di beni di prima necessità subito all’ingresso tipo emergenza tornado nei film americani. Schivo la zona bunker e vado verso le casse, a colpo sicuro, per prendere il mini-carrellino o il cestello, dopo aver snobbato con manifesta superiorità l’offerta fatta dall’omino del carrello poco prima, di fuori.

“No grazie”, mano quasi a stopparlo, inclinata di 45° gradi verso il basso, sorrisetto bonario, chiusura di occhi che lascia intendere “Nulla di quello che puoi offrirmi può interessarmi perché vedi…IO SO COSE”

Non sapevo un cazzo.

Nessun carrellino da portare in giro con una sola mano con destrezza e abilità, nessun cestello di plastica. Cerco in ogni cassa dello scalcinato supermercato, niente. Ed è in questi momenti che ti accorgi di quanto il cestello sia tra le 3 invenzioni più grandi della storia dell’uomo, dopo Dio e il Sole.

“Farò senza…alla fine devo solo prendere un po’ di frutta”

Fiducioso. Già.

“2 chili di Pere Williams”

Il reparto frutta è caotico come il resto dell’ambiente, i banconi sembrano dei blocchi di cemento da cui dietro mi aspetto di veder spuntare dei miliziani siriani armati. Striscio per non farmi vedere dai soldati e dopo aver superato il filo spinato di recinzione, raggiungo il reparto frutta. Abituato alle comodità e alla tecnologia dei supermercati di lusso, mi sembra di tornare indietro di 10 anni quando dando un’occhiata alle bilance, non trovo il pulsante con immagine e nome del frutto ma un semplice tastierino numerico.

“Non dovrò mica ricordarmi il numero dal banco alla bilancia?”

Invece è esattamente cosi. Le pere Williams hanno addirittura il 238, il che significa doversi ricordare 3 cifre per almeno 4 metri. Inutile dire che questo comporti diversi viaggi avanti e indietro per ricontrollare il numero e cercare di memorizzarlo.

“Follia”

Ma tutto questo purtroppo, è solo l’inizio.

PRIMA LEGGE DEL BANCO FRUTTA POST-COVID:
Postulato: “Se in possesso di mascherina, gli occhiali subiranno una forza di attrazione gravitazionale doppia mentre il coefficiente di attrito si dimezzerà”

Guardo in basso, verso il sacchetto. Mi cadono gli occhiali (un classico in questo periodo di mascherina). Si auto-proiettano in una spirale mortale verso le cassette di frutta, rimbalzando sul banco dei Kiwi per poi finire su una moquette mai lavata dal 1974. Li raccolgo. Non li indosserò più fino alla sera.

SECONDA LEGGE DEL BANCO FRUTTA POST-COVID:
Postulato: “Aprire un sacchetto quando le tue stesse mani sono dentro un sacchetto, equivale a sconfessare diverse leggi fisiche sull’attrazione elettromagnetica”

I miei guanti-sacchetti di plastica scivolano ad attrito zero e io mi chiedo se infilare tutto dentro dei sacchetti non sia una scorciatoia per risolvere il problema del moto perpetuo. Provo e riprovo ad aprire i sacchetti, spesso strappandoli, sudando copiosamente mentre tutti mi guardano come se fossi uno schizofrenico. Al sesto (o forse sedicesimo ) tentativo, ecco che intravedo un lembo che sembra temporaneamente scollegarsi dal tessuto spazio-tempo-sacchetto come un wormhole e abilmente lo afferro, capovolgendo le sorti dell’universo. Il sacchetto si apre, cambiando il futuro per sempre.

TERZA LEGGE DEL BANCO FRUTTA POST-COVID:
Postulato: “Per far la spesa servono due mani”

Non posso contemporaneamente tenere i sacchetti con la frutta in una mano e con l’altra aprire un altro sacchetto da riempire. In difficoltà quanto ad un esame di Fisica dopo anni di Letteratura Greca, provo a tenere in “braccio” il sacchetto delle pere cercando di usare il petto come appoggio ma quelle si muovono imbizzarrite. Legare un sacchetto con dei guanti di plastica implica che i tuoi stessi guanti tenteranno di fare parte di quel nodo, infilandosi in ogni millimetrica fessura, impigliandosi, facendoti uscire di senno. Ecco perché li leghi larghi, alla bene e meglio. Ecco perch* poi le pere cadono per terra.

Ecco.

“Cosi non funziona”. Raccolgo le pere da terra e decido di cambiare strategia.

Esclusa a priori l’ipotesi di uscire e chiedere, da sconfitto, aiuto all’omino del carrello, mi rimane in mano un solo jolly, trovare un posto tutto mio in cui mettere la mia frutta. Senza dare nell’occhio, cerco e trovo un ripiano semi-vuoto sotto le arance. Sacchetto dopo sacchetto, facendo lo gnorri, simulando di allacciarmi le scarpe, frutta dopo frutta, posiziono i vari sacchetti nel mio antro segreto, finché la mia spesa è fatta.

Prendo tutto, come un ladro, e vado verso la cassa. Posiziono i sacchetti sul nastro trasportatore che li porta verso il traguardo, la fine di quell’agonia.

Chiedo un sacchetto.

Me lo danno.

Si sa, non puoi mai sapere quando sarà davvero finita.

Soffio sul sacchetto per aprirlo, visto che con i sacchetti-mano è impossibile. Soffio ancora più forte. Niente

“Hai la mascherina…” mi dice la cassiera, con pena.

Mi prende il sacchetto dalle mani.

Me lo apre.

Fine.

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